Fra’ Claudio Granzotto nasce il 23 agosto 1900 alla Granza, un quartiere della nostra parrocchia, da Antonio e Giovanna. È il loro settimo figlio. La casa dove è nato è ancora ben visibile, e così quella dove è cresciuto, comunque vicinissime.
Fin da bambino dimostra una innata abilità con le mani, sia nel disegno che nel plasmare la creta. A nove anni, quando il papà tessitore ci canapa muore, Riccardo deve lasciare la scuola e darsi da fare insieme a tutti i suoi fratelli. Ma la passione artistica non lo abbandona mai, nemmeno quando è costretto ad andare in guerra appena quindicenne per pesanti lavori logistici di sostegno alle truppe oppure, arruolato a 18 anni, presta servizio in giro per l’Italia.
Nel 1921 torna qui, a Santa Lucia di Piave, a lavorare nell’impresa edile del fratello che, dopo molte pressioni, gli concede di frequentare la scuola d’arte serale a Conegliano, dopo la dura giornata di lavoro. È qui che incontra artisti e professori che lo introducono negli ambienti accademici veneziani. Nel 1929, con innumerevoli sacrifici, consegue il diploma di professore di scultura presso la “Regia Accademia delle Belle Arti”. È in questa occasione che realizza una delle sue opere più belle, “l’anima e la sua veste”, un volto di fanciulla che si trova presso la nostra gipsoteca parrocchiale.
E di poco successiva un’altra opera tra le più apprezzate del nostro beato, l’acquasantiera della nostra chiesa parrocchiale, raffigurante un imponente ed estremamente espressivo diavolo, costretto a reggere la pila a forma di conchiglia che contiene l’acqua santa e dalla quale si erge un’esile figura di madonna. Entrambe queste figure, e moltissime altre, sono particolarmente interessanti in paese perché modellate su volti e forme di compaesani santalucesi.
Il suo futuro di scultore sembra prendere subito una piega di grande successo quando vince un concorso nazionale con “la volata” (un colossale atleta che sta per lanciare una palla) che gli procura l’incarico di una serie di sculture per il foro italico a Roma, in costruzione in quegl’anni. Ma i giochi della politica fascista gli procurano la più grande delusione: viene estromesso dal concorso ormai vinto e obbligato a riportare a casa “la volata” a sue spese. Si apre un periodo di crisi esistenziale e religiosa (la sua è una fede forte e semplice), che mette in discussione tutti i suoi progetti.
Grazie al sostegno di due grandi amici, l’architetto Rupolo e mons. Morando (parroco di S. Lucia) che gli procurano diversi lavori nell’ambito dell’arte sacra, si apre per Riccardo una via d’uscita alla sua profonda crisi. È di questo periodo il protiro della nostra chiesa parrocchiale, tutto progettato dal beato che realizza direttamente le colonne, i capitelli, la statua del Sacro Cuore, in cima, e i “mitici” due leoni che reggono il tutto; ma ogni cosa esce dalla sua arte e poi magari affidato ad altri nella realizzazione, anche il portale con le formelle e i maniglioni.
Il lavoro di artista scultore si mescola con una profonda ricerca vocazionale. I soggetti sacri che studia o scolpisce cominciano a plasmarlo nell’anima, e l’arte diventa per lui una via all’incontro con Dio, evolvendosi nella direzione dell’essenzialità e del misticismo. La “S. Lucia” da lui realizzata per la nostra chiesa ne è esempio straordinario, e ancora oggi molto contemplato. Ma la sua stessa persona mostra sempre di più i tratti di quella scultura che Dio sta rifinendo nell’anima di Riccardo. La preghiera diventa parte preponderante della sua vita, nel suo laboratorio e nella nostra chiesa parrocchiale (dove non di rado passa notti intere facendosi chiudere dentro dal sacrestano!), ma altrettanto importante è la carità che, con estrema discrezione, elargisce verso i bisognosi del paese con aiuti economici o accordi segreti col panettiere per rifornirli di pane. A questi gesti di carità sono devoluti quasi tutti i guadagni di artista.
In una partita a carte nella canonica di S. Lucia col parroco, mons. Morando, il pittore santalucese Modolo e un padre predicatore francescano. Avviene il primissimo e apparentemente innocuo contatto col francescanesimo. Ma è solo l’inizio di un cammino che lo porta alla convinzione di voler seguire le orme del Santo di Assisi.
Saputa la notizia delle intenzioni del professor Granzotto, molti sono quelli che cercano di dissuaderlo, e molti sono i modi: dai più sereni ai più offensivi. Ma Riccardo è una roccia che ha già deciso da chi farsi scolpire e, nel 1933, veste l’abito francescano presso l’isola del deserto, nella laguna veneziana.
Gli viene subito affidato un incarico importante: realizzare una grotta di Lourdes a Chiampo. L’opera sarà accompagnata da innumerevole polemiche e critiche nei confronti del frate troppo testardo e perfezionista, che supera il budget stabilito. Anche gli architetti nutrono dubbi sulla staticità del progetto. Ma il novizio Riccardo Granzotto non si scoraggia, procede nel lavoro ricoprendo tutti i ruoli, da progettista a manovale. Il favore della gente impedisce che il suo lavoro venga bloccato e così, nel 1935, consegna l’opera finita.
Tornato all’isola del deserto, dove emette i voti l’anno successivo, il 1936, fra’ Claudio è ormai lanciato nella sua opera principale: lasciarsi scolpire dallo Spirito. La sua preghiera e la sua contemplazione raggiungono forme sempre più alte (secondo alcuni testimoni anche soprannaturali), anche se molto discrete. Ma la sua passione contemplativa non ne fa un religioso segregato in chiesa, anzi! La sua passione per Dio esige di trasformarsi in passione per l’uomo, soprattutto il povero. Siamo ormai negli anni della guerra, e le occasioni di impoverimento purtroppo non mancano.
Fra’ Claudio diventa un grandioso crocevia di carità, tra chi da e chi ha bisogno. Ma soprattutto vive egli stesso da povero per poter dare di più a chi è più povero. Per questo, con dedizione, si dedica anche alla questua che, con grande umiltà, svolge anche per le vie di S. Lucia, dove era conosciuto come apprezzato e stimato professore.
La spiritualità, la generosità, la carità non gli risparmiano certo incomprensioni ed umiliazioni, anzi…è lui stesso a cercare una vita umile e penitenziale. Quanto all’arte della scultura, ora sono i suoi superiori a dovergli ricordare di dedicarsi anche ad essa, troppo preso dalla carità. E molte sono le opere di grande valore artistico e spirituale che, nonostante i gravi intralci, porta a termine.
Nel 1947, nella festa dell’Assunta come da lui predetto, fra’ Claudio muore dopo atroci sofferenze per un tumore al cervello molto aggressivo e non subito riconosciuto. In breve tempo giungono a migliaia le testimonianze di grazie ricevute dal frate scultore, e le testimonianze non vanno scemando col tempo ma la memoria della sua santità sembra accrescersi col passare degli anni. Ora la sua salma riposa ai piedi della grotta da lui realizzata a Chiampo, divenuta luogo di numerosi pellegrinaggi.
Il 20 novembre 1994, in San Pietro, il papa Giovanni Paolo II sancisce la sua santità facendolo beato.